L’ipoglicemia è una complicanza della terapia insulinica, che può essere anche fatale. In condizioni normali, il glucagone agisce come ormone controregolatore per innalzare i livelli di glicemia e contrastare il pericolo dell’ipoglicemia. Questo fondamentale meccanismo di protezione viene a mancare nel diabete tipo 1. La conseguenza è che la combinazione terapia insulinica + alterazione della controregolazione fatta dal glucagone porta ad un rischio molto elevato di ipoglicemia. Quando sono frequenti le ipoglicemie lievi si possono controllate con l’ingestione di carboidrati semplici ma la conseguenza potrebbe essere quella di un incremento di peso. Inoltre, se gli episodi di ipoglicemia sono numerosi, mettono la persona con diabete a rischio di ipoglicemie inavvertite.
Per decenni il glucagone è stato somministrato come trattamento di emergenza nelle ipoglicemie gravi. Il farmaco deve essere ricostituito da polvere liofilizzata e utilizzato immediatamente, poiché si degrada in breve tempo; la dose standard è pari a 1 mg (1000 mcg). Per superare questi limiti sono state prodotte forme stabili di glucagone, che possono essere somministrate anche non in condizioni di emergenza, come mini dosi di glucagone oppure attraverso dispositivi per il rilascio automatico di glucagone.
Il concetto di mini dosi di glucagone, cioè di dosi ben al di sotto di quanto viene somministrato in emergenza, è noto dal 2000, quando furono pubblicati i primi dati sul loro utilizzo nel trattare crisi ipoglicemiche imminenti o lievi. Nel numero di settembre di Diabetes Care vengono pubblicati i risultati della somministrazione di mini dosi di glucagone per prevenire le ipoglicemie correlate all’esercizio fisico. I ricercatori dimostrano che l’utilizzo di 150 mcg di glucagone previene l’ipoglicemia durante l’esercizio fisico. Anche la somministrazione di glucosio pari a 40 gr previene l’ipoglicemia ma porta a significative iperglicemie in un terzo dei soggetti arruolati nello studio. Invece, la riduzione del 50% dell’insulina basale 5 minuti prima di iniziare la seduta di esercizio porta a ipoglicemie in un terzo dei partecipanti.
E’ interessante notare che questa ultima strategia è risultata tanto inefficace quanto la scelta di non fare nulla nel gruppo di controllo; inoltre, i livelli di insulina non si sono modificati in modo rilevante nonostante la riduzione delle unità. Questo mette in risalto la necessità di ridurre le unità di insulina basale 60 – 90 minuti prima dell’esercizio, manovra che non è sempre facile da attuare. Il rovescio della medaglia è che se si arrivasse a ridurre in modo considerevole la basale si andrebbe incontro a iperglicemia …..
Nello studio i partecipanti hanno dovuto soddisfare diversi criteri: essere in terapia con microinfusore, essere a digiuno, iniziare l’attività fisica con glicemia compresa tra 100 e 140 mg/dL, ed effettuare 45 minuti di esercizio moderato nelle ore del mattino. Nella vita reale le condizioni di partenza prima di un esercizio possono essere molto variabili e la dose di glucagone andrebbe individualizzata in base a diversi fattori, come il peso del soggetto, la glicemia di partenza, l’ora del pasto precedente, e l’insulina in circolo. Inoltre, il tipo di esercizio, la sua intensità e la sua durata sono tutte determinanti che hanno un impatto sulla scelta della dose di glucagone, per evitare oscillazioni notevoli dei valori di glucosio. Da notare poi che il glucagone non ha effetto sulla frequenza delle ipoglicemie nella fase di recupero tardivo, che possono essere prevenute sia con l’ingestione di carboidrati sia con l’aggiustamento delle unità di insulina.
Restiamo in attesa di ulteriori dati per poter arrivare ad una strategia efficace nell’uso del glucagone per migliorare il controllo glicemico in relazione all’attività fisica, evitando oscillazioni pericolose delle glicemie, con conseguenze anche gravi.
Da: Rickels M.R. e coll. Diabetes Care settembre 2018; 41(9): 1909-1916. DOI