Non sempre è valido il binomio “peso in eccesso” e “meno salute”. Uno studio appena pubblicato online dagli “Annals of Internal Medicine” evidenzia che le persone con il girovita imponente per l’accumulo di grasso in sede addominale hanno un rischio di mortalità più elevato rispetto a chi ha un accumulo di grasso in altre sedi del corpo.
Il dato molto interessante e che conferma la pericolosità della “ciambella” o delle “maniglie dell’amore” è che la mortalità è più correlata al girovita che all’indice di massa corporea (body mass index, BMI), che è una stima derivata dal peso e dall’altezza. Per fare un esempio, la mortalità è più elevata del 25% nelle persone con obesità centrale e BMI nella norma, cioè compreso tra 18.5 e 24.9 kg/m2 ed è più elevata del 26% in quelle persone con obesità centrale e sovrappeso (BMI compreso tra 25 e 29.9 kg/m2). Addirittura si arriva ad un aumento della mortalità del 56% nelle persone con girovita eccessivo e BMI indicativo di obesità (BMI da 30 kg/m2).
Lo studio ha coinvolto 43000 persone in Gran Bretagna, che sono state “misurate” e seguite per 10 anni. La loro età media era di 58 anni. I ricercatori hanno rilevato che il rischio legato all’obesità centrale è identico per uomini e donne.
Il grasso che si accumula a livello addominale influenza in qualche modo la funzione epatica e cardiovascolare, mettendo a rischio il soggetto soprattutto per complicanze come l’ischemia cardiaca, le malattie cerebrovascolari, e la cirrosi epatica su base metabolica. Alla base di questi processi vi sono meccanismi come la resistenza all’attività insulinica, le dislipidemie, e una condizione di infiammazione cronica, tutti eventi governati anche dalle cellulle adipose.
Come combatterlo ? Non è un’impresa facile, perchè spesso il calo ponderale non è solo localizzato dove serve. La regola rimane la stessa di sempre: modificare lo stile di vita con una determinazione ferrea, correggendo l’alimentazione, incrementando l’esercizio fisico, e controllando il consumo di alcool e di sigarette.
Da: Harmer M. e coll. Ann Intern Med. 25 aprile 2017:1-2. doi: 10.7326/L17-0022